martedì 21 marzo 2017

A MARTIN S'è ROTTO IL CUORE, ALL'IRLANDA LA SPERANZA. In morte di Martin McGuinness, già comandante dell'IRA

A Martin si è rotto il cuore, all’Irlanda la speranza.
In morte di Martin McGuinness, già comandante dell’IRA.
Con Martin McGuinness sul luogo di Bloody Sunday

Il modo più efficace per distruggere i popoli è negare loro e cancellarne la comprensione della propria storia”. (George Orwell)

Erano le cinque della sera e anche in Irlanda a quell’ora si finiva di morire. E iniziava l’inganno dei vivi, di quelli che lo subirono, di quelli che lo inflissero. Erano le cinque della sera tra il 30 e il 31 gennaio 1972 e si era compiuta la mattanza di Derry, quella che poi avremmo chiamato la Domenica di Sangue. Gli U2 ci avrebbero fatto una canzone, Paul Greengrass ci avrebbe fatto un film che avrebbe perpetuato l’inganno scaricando la mattanza ordinata dal governo di Sua Maestà su qualche militare fuori di testa, Ci feci un film anch’io. Anzi, era il momento culminante di un film che avevo iniziato a girare due anni prima e che dei “troubles”, dei guai, come chiamavano la guerra di liberazione nordirlandese,.raccontava ciò che non è mai più stato raccontato. Me lo aveva montato Marco Ferreri, nientemeno. Non c’è più, disperso nei caveau delle polizie nordirlandese, irlandese e di Scotland Yard. che lo confiscarono. La mia copia andò dispersa con il resto dell’archivio di Lotta Continua, quando l’organizzazione fu uccisa dai suoi fondatori.

Alle cinque della sera gli spari del 1° Reggimento Paracadutisti erano finiti. Camminando per i vicoli di Bogside, il cuore del ghetto repubblicano, nazionalista, cattolico, irridentista, come lo volete chiamare, si udivano lamenti e imprecazioni terribili. Ogni casa trasudava il dolore per la perdita di un figlio, un padre, un marito, un fratello, un amico. Da ogni casa usciva l’urlo della verità: 14 esseri umani, inermi e innocenti, massacrati a freddo dai sicari in divisa di chi a Londra aveva ordinato che alle manifestazioni, alle proteste, agli scontri con sassi e molotov, andava posto fine. O questi “bastardi fenians” (antica definizione ingiuriosa della minoranza autoctona) si sarebbero lasciati intimidire, terrorizzare e l’avrebbero smessa di rivendicare parità con i coloni protestanti, unionisti con la Corona, classe dirigente, classe ricca. Ma anche un proletariato e sottoproletariato altrettanto escluso, ma fanatizzato dall’illusione di essere della stessa “razza” dei padroni, nel giro nobile, comunque non quello degli ultimi. Destino tragicomico dei sudditi operai dei signori colonialisti.  Avrebbero, i cattolici, rinunciato a chiedere lavoro, case che non fossero “match boxes”, accesso alla pubblica amministrazione, alla sanità, a scuole decenti e non britannizzate, la fine delle sevizie degli “Special B”, il corpo di picchiatori della polizia, e quella degli incursori e piromani unionisti dai quartieri dove sventolava l’Union Jack.

O, se non l’avessero capita, testa dura quella degli irlandesi, in  lotta contro il colonizzatore da oltre due secoli, che lo scontro da civili contro le forze d’occupazione si militarizzasse pure. Che tirassero fuori dalle vecchie pagine di storia – ultima insurrezione dell’IIRA negli anni ’50 – la fanfaluca dell’Irlanda unita e da sottoterra le vecchie spingarde. Per l’esercito di Sua Maestà sarebbe stata un passeggiata e la simpatia del mondo verso chi brandiva miseria, discriminazione, apartheid, repressione, volontà di riscatto, si sarebbe tramutata in revulsione verso i “terroristi” dell’IRA. Vecchio trucco. Che non funzionò, neanche dopo vent’anni, dato che era la lotta di un popolo. Funzionò solo quando una delle due parti accettò di disarmare. La parte di Martin McGuinness.

Alle cinque della sera  stavo davanti a una tazza di tè, accanto a un camino, in una “casa sicura”, nelle parti di Free Derry dove l’esercito di occupazione non osava penetrare. Sullo schermo un Tg esibiva un tronfio e arrogante generale, tronfio e arrogante come solo i generali sanno essere, quelli anglosassoni poi… Generale Ford, comandante in capo delle forze britanniche in Nordirlanda, cosa cazzo stai dicendo? Che a ignari e pacifici parà i cecchini dell’IRA avevano sparato dai tetti (neanche un ferito tra i militari) e che i parà a malincuore avevano dovuto difendersi, rispondere ai terroristi? Che pare ci siano alcuni feriti…..

Dopo la mia esperienza di inviato di guerra in Palestina, Guerra dei Sei Giorni del 1967, dove si raccontava di un popolo, qui insediato dalla Bibbia, a rischio di essere gettato in mare da sbrindellate armate arabe, mentre invece il suo esercito, il quarto al mondo, radeva al suolo villaggi con i vivi dentro, pensavo di essermi corazzato rispetto alle verità dei padroni. Ma qui la faccia tosta arrivava al sublime e ti insegnava che di quelle “verità” non devi fidarti mai, che il padrone, il dominatore, il capitalista mente sempre e sempre per la gola. La sua gola di antropofago.
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McGuinness nei giorni in cui mi salvò dai parà.

A quel punto era necessario salvare le mie foto e registrazioni audio. Documentavano tutto, il corteo pacifico dei 20mila, l’irruzione del battaglione parà sulla coda della marcia, dai primi agli ultimi spari, il panico, la folla disperata o furibonda in fuga, le urla delle donne, le bestemmie e gli insulti degli uomini. Le teste fracassate, le pance bucate, i colori del viso che diventavano gialli e poi bianchi, il pilastro scheggiato dalla pallottola sopra la mia testa, i buchi nella finestra mentre scattavo foto e che erano la reazione della carabina Sterling di uno degli assassini.

C’era il parà che, ginocchio a terra, prende la mira, il ragazzo di 16 anni, Jack Duddy, che fermo, a braccia aperte, come inciso nell’aria, non ci credeva e la pallottola la becca nel cuore, crolla, sbianca. Piovono raffiche, ma siamo tutti lì attorno a lui che scolora, a occhi spalancati come attoniti, il prete eroico, l’infermiere eroico, un vecchietto eroico, per soccorrere, indifferenti alla morte che stava loro addosso. Lo sollevano, lo portano via a braccia, braccia penzoloni, curvi per schivare gli spari che continuano. Io sparo scatti su scatti contro gli spari su spari. Su Jack e poi su Barney, su Jim, su Patrick…..Oggi una di quelle foto ci saluta da una facciata, quando entriamo a Derry, ancora “free”.


La radio militare, intercettata dai ragazzi di un’IRA allora nascente a Derry, aveva ordinato di “arrestare quel fotografo straniero, utilizzando qualsiasi mezzo necessario”.  Mettere le mani sul materiale che avrebbe potuto incriminare, non solo soldataglia abbrutita, ma un governo, un’eccellenza dell’Occidente civile. La stampa internazionale, accorsa per la manifestazione dei diritti civili più grande dall’inizio della rivolta, era stata confinata nella cittadella protestante, dietro le barriere tirate su dall’esercito. Non doveva vedere, raccontare. Ma noi giornalisti poveri abitavamo tra le famiglie del ghetto, eravamo già al di qua della barriera, avevamo visto, potevamo raccontare. Qualcosa di diverso di quanto blaterato dal generale Ford. Dovevamo essere fermati, i materiali sequestrati.

Conoscevo Martin McGuinness, neanche vent’anni, già capo della brigata di Derry dell’IRA Provisional. La serietà e l’allegria di un combattente antico e giovane. Un carisma sconfinato. Era una notte buia e tempestosa, consentitemi la citazione banale, ma appropriata. Per la nebbia non si vedeva a tre metri dalla macchina. Una fortuna. Per vie secondarie, carrarecce, tratturi, fendendo una nebbia che ci occultava ai britannici, Martin mi portò alla vicina frontiera con la Repubblica, contea di Donegal. Scambio di vetture e accompagnatori, efficienza che avrebbe mantenuto in piedi la resistenza fino al 1998, Venerdì Santo, accordo del disarmo e della “pacificazione”. E oltre. E così che, dai giornali e dalla tv di Dublino, una verità altra, rispetto a quella del generale serial- e masskiller, potè raggiungere il mondo e far capire, a chi a capire era disposto, “di che lacrime grondi e di che sangue” il monopolio della forza dei padroni che si proclamano Stato. Il loro.

Nel corso della mia lunga frequentazione di quel popolo indomito, la più lunga lotta anticoloniale della storia umana, Martin McGuinness l’ho incontrato tante volte. Mi informava, mi faceva conoscere cose, aspetti, compagni partigiani, il capo di Stato Maggiore a Dublino, allora McStiofain, la sua bellissima mamma che mi cucinava l’arrosto di agnello. Mi ha onorato della sua fiducia. Gli ho voluto bene anche dopo che le scelte, più del gran capo Gerry Adams che sue, avevano contrapposto la sua visione su ciò che sarebbe stato bene, per la sua comunità e per l’Irlanda tutta, alla mia e a quella di coloro che ritennero  di mantenere fede al giuramento di liberazione, al poeta combattente Bobby Sands e ai suoi dieci compagni, morti, avvolti in coperte luride, dopo due mesi di sciopero della fame, per non essersi fatti travestire e degradare da criminali comuni. Come alle migliaia di martiri dell’unità, dell’identità, della libertà.

Bobby Sands e Nelson Mandela

Un quarto di secolo di lotte, dopo due secoli di lotte, dopo la carestia – “disastro naturale” come i tanti manovrati dai potenti - a metà dell’800, che aveva dimezzato, tra morti ed emigranti, la popolazione d’Irlanda perché abbandonata al morbo delle patate, mentre i latifondisti inglesi si arricchivano con l’esportazione di ogni bene irlandese. Dopo la mutilazione della nazione, con la negazione dell’indipendenza alle sei contee del Nord. Dopo Bobby Sands e i suoi compagni assassinati da Margaret Thatcher. Dopo una storia infinita di sogni e sangue, di sopportazione al limite del sovrumano, non poteva finire così. Con un governo provinciale fantoccio a Belfast, comandato a distanza da Londra e in cui gli schiavisti d’antan e di sempre dividono un potere vernacolare con gli schiavizzati di ieri e di sempre. Perché nelle condizioni di vita, nelle privazioni sociali, nella subalternità politica, nello spadroneggiare degli unionisti (a cui non si è chiesto di disarmare!) nulla è cambiato. 

Qualche serie di casette a schiera in più. Un posto da subalterno in polizia, o nell’amministrazione. Le strade rattoppate. I pub riverniciati. Le scuole alla pari. Ma sempre, come ribadiscono episodi che ricorrono oggi come ieri, a rischio di teppisti unionisti armati.
Martin McGuiness ne era diventato il co-premier accanto ai proconsoli di Londra, gli unionisti orangisti, dichiaratamente fascisti, di Ian Paisley. Se il cuore di un combattente temprato come lui non ha retto, a soli 66 anni, penso di poter immaginare che sia stato anche per quella resa, per quell’Irlanda verde e unita sparita dall’orizzonte, per quell’inchino alla regina, per la rabbia di tanti, per i sogni di gioventù, per dover affrontare nella sua Derry gli sguardi di dolore e di sgomento dei suoi, di coloro di cui a vent’anni aveva impersonato la dignità e la certezza della vittoria. Per dover collaborare, con padroni e nemici di una vita, alla persecuzione e repressione di quanti, nel Nord, soffrono esattamene come prima e di coloro, suoi compagni d’un tempo, che insistono a non arrendersi e continuano a chiamarsi IRA, Real IRA, Continuity IRA, come nei secoli.

Gerry Adams se ne è andato al Sud, nella Repubblica. Sinn Fein, il partito che si diceva braccio politico dell’IRA, è diventato braccio politico di una tenue socialdemocrazia sud- irlandese che, irritata dalla Brexit, sogna di proseguire un boom, che è tutto del capitale e delle multinazionali, restando nell’UE, nelle fauci di chi macina nazioni e classi subalterne..
Il 24 gennaio 2013 moriva Dolours Price. Militante repubblicana, non era ancora una volontaria dell’IRA Provisional quando la portai in Italia, per un giro di conferenze nelle università. Lei e la sorella Marian, nel 1973, misero bombe al palazzo di giustizia di Londra, l’Old Bailey. Un atto simbolico, non ci rimase nessuno. Ma furono condannate all’ergastolo, poi ridotto a vent’anni. Accusò Adams di tradimento, di aver addirittura negato di essere stato capo di stato maggiore dell’IRA. Per questo, denunciò, fu minacciata da elementi del Sinn Fein. Morì per un eccesso di barbiturici, senza aver mai dato segni di volontà di morte, combattiva più che mai. Non ci furono indagini.

Se oggi giri per i quartieri delle opposte comunità, trovi che non è cambiato niente. A Falls Road di Belfast come a Derry, repubblicani, a Shankill Road come a Coleraine, unionisti, gli stessi murales, gli stessi vessilli, le stesse invocazioni di giustizia, le stesse accuse di repubblicanesimo, gli stessi simboli e ricordi di guerra. Hai voglia a parlare dell’accordo del Venerdì Santo 1998, Good Friday, qui in sostanza non è cambiato niente. Ci sono ricapitato l’anno scorso, per deporre all’ennesima inchiesta su Bloody Sunday, stavolta condotta dalla polizia nordirlandese, figurarsi. Già i militari della strage si sono rifiutati di deporre e nessuno li condannerà mai. Tanto meno i mandanti. Il mio avvocato e grande amico, Ciaran, che è anche il legale di molti prigionieri repubblicani e di coloro che dai filo- britannici sono stati offesi,  mi ha portato in giro per tutta Belfast. Pareva il 1970, o 80, o 90.


A Derry ci sono tornato per il 45° anniversario della Domenica di Sangue. C’ero stato, invitato dal Comitato delle Famiglie delle vittime, nel 1992, al ventesimo anniversario. Al 30° no. Niente invito, c’era stata la “pacificazione” e uno come me, che agli inglesi, nuovi partner, le palle le aveva rotto parecchio, avrebbe stonato nell’atmosfera della pacificazione. Stavolta sono  stato invitato dai “dissidenti”, gli “Artisti di Bogside”, Tom Kelly, suo fratello William (morto da poco) e Kevin Hasson. Sono gli autori dei più bei murales di Derry, compreso quello tratto dalla mia foto di Jack Duddy. Vanno in giro per il mondo a far raccontare ai muri dolori e onori degli oppressi, infamie e ottusità degli oppressori. 
Anche a Derry non è cambiato niente. La povertà è la stessa di allora, la gente più malmessa, il corteo della ricorrenza ancora combattivo, ma senza sorrisi. La brutta, la tragica novità è la spaccatura all’interno di una comunità che era rimasta compatta a dispetto di tutto. I cambiamenti, le svolte, le “innovazioni” di Gerry Adams non sono passati. Non nella maggioranza. Così Adams la sua cerimonia l’ha fatta quasi da solo, davanti all’ingresso di “Free Derry”, attorniato da pochi. Nel corteo per il solito percorso, dal verde della collina di Creggan alla valle delle casette “match box” di Bogside, c’erano tutti gli altri, con le bandiere dell’Irlanda unita.


Solo la mattina, davanti al cippo con i nomi delle vittime, s’è vista un po’ di unità. Gli stanchi, gli irriducibili. E qui c’era anche Martin McGuinness. Si era dimesso dal governo di Stormont (così si chiama il palazzo a Belfast), un po’ perché gravemente sofferente di cuore, ma anche perché la collega, co-premier della destra-ultrà unionista, era rimasta coinvolta in uno scandalo immobiliare e non si voleva dimettere. E forse, ancora, per cose più profonde. Che quella mattina segnavano il suo viso pallido.


Ci siamo visti e, mentre venivano pronunciati dal cippo i nomi dei 14 caduti, ci siamo abbracciati. Ho abbracciato il ragazzo che difendeva Derry. Anche quella volta in cui salvò me e la documentazione della strage di Stato. Un ragazzo che oggi non ce la faceva più, sotto il peso di tante cose. Gli ho detto, sapendo di come il tempo passa sopra le fisionomie: “Sono Fulvio”. E lui: “Ma so bene chi sei, lo saprei anche fra cent’anni”. “Come stai?” “Mica tanto bene, vieni a casa più tardi?” Non ci fu il tempo. Ero con dei ragazzi di Roma che giravano un documentario sui murales, su Derry, su me testimone.

Sono contento di averlo rivisto, Martin, e mi prende una stretta mentre lo scrivo. Ha tenuto duro per tanti anni. Per tanti anni è stato una bandiera. Non ha mai né rinnegato, né occultato il suo ruolo di combattente. Questo, più che altro, resterà di lui a Derry, in Irlanda, accanto a James Connelly, a Bobby Sands. Chi sono io per non condividere un frammento del dolore che ha portato a spezzarsi il suo cuore?





14 commenti:

byebyeunclesam ha detto...

eccezionale...

Anonimo ha detto...

Un pezzo da brividi,Fulvio.
Non sei solo un grande giornalista ,sei anche un grande scrittore ed una persona sincera .
Complimenti , Luca .

Claudio Andreini ha detto...

Grazie per condividere questi tuoi sentimenti e questi pezzi di storia. Il magone che sale dalla gola mi fa venire voglia di abbracciare tutti, compreso gli assassini, per far provare loro l'ebbrezza dell'amore e poi dire: svegliatevi all'amore che c'è anche in voi.
Claudio

Fulvio Grimaldi ha detto...

Claudio Andreini@ Generoso, ma corri dei rischi così....

alex1 ha detto...

Uno degli articoli piu' belli del blog, e dire che di belli ce ne sono, ma questo e' piu' narrativo e toccante degli altri, dove alle vslutazioni storico e politiche si mischiano quelle personali ed umane dell'epoca. A leggerlo ti fa sentire quasi il rumori delle armi, l'odore del fumo e della polvere da sparo, le urla le sensazioni di paura e rabbia miste ad impotenza, pur con la consapevolezza che bisognava mantenere I nervi saldi anche portare all'esterno quella verita' che altrimenti sarebbe stata negate prima e dimenticata poi. Un solo rammarico che il docufilm che ha smentito una delle tante false flag sia andato perduto, non ci sono possibilita' di recuperarlo? Sarebbe da mostrare alle nuove generazioni ed a chi vuole intraprendere la professione (non la chiamo per onesta' carriera) di giornalista.

Fulvio Grimaldi ha detto...

Alex1@ Ciao. Grazie dell'apprezzamento. Il film l'ho cercato per tutti questi anni. Niente da fare. E poi ormai la pellicola sarà deteriorata. Comunque la verità sulla Domenica Di Sangue e il massacro a sangue freddo di cittadini inermi è dimostrato anche dalle fotografie e registrazioni audio che, grazie a Martin McGuinness, ho potuto salvare e diffondere nel mondo.Tanto è vero che nelle varie inchieste sulla strage sono state un elemento decisivo per avvicinare la verità.

Anonimo ha detto...

Grazie, Grimaldi.

Commovente, da brividi sinceri.

Un inno alla Lotta, un meraviglioso canto d'amore.

Perdona, ma alcuni dei tuoi pezzi, quelli di piu' ampio respiro e piu' intimi non dovrebbero restare confinati in un blog letto, ahinoi, da forse qualche centinaio di persone.

Sono Letteratura, lingua viva e tagli nella pelle che bruciano, e dovrebbero continuare a bruciare sulla pelle delle prossime generazioni.

A questo livello, se mi permetti, quasi non ti appartengono piu', sono bene dell'Umanita'.

Fanne un libro che rimanga nelle biblioteche... autofinanziamolo, facciamo qualcosa insieme.

Grazie davvero

Edoardo

Edoardo

Fulvio Grimaldi ha detto...

Edoardo@grazie di cuore per i generosi complimenti. Li inoltro al mio editore. Vediamo cosa succede.

Paolo Selmi ha detto...

Ciao Fulvio!
chiedo perdono per averti letto solo ora, ma ho avuto una settimana d'inferno e riesco solo adesso a leggerti. Non ho deliberatamente letto il tuo nuovo pezzo perché volevo concentrare le mie poche energie di quest'ora su questo. Mi è piaciuto tantissimo, come tutti i tuoi ricordi e cronache di prima mano sui fatti d'Irlanda. Concordo con Edoardo e faccio, nuovamente, appello, a chi detiene ancora copia di quel film in qualche scatolone in qualche scantinato, di restituirlo all'Autore. Non si trovi sulla coscienza anche questo crimine, perché occultare la verità è criminale. Con sincera stima e ammirazione, e anche con un pizzico d'invidia per essere stato ripetutamente partecipe, e non solo spettatore, della Storia,
Paolo Selmi

Fulvio Grimaldi ha detto...

Edoardo@ ecco cosa quello scaricabarile del mio editore Zambon ha suggerito. Che dici?

roberto ha detto...

Grandissimo Grimaldi!! Nel mio piccolo ripropongo da anni gli articoli di Fulvio sul mio piccolo blog e so che molti amici lo citano su Facebook. So anche che altri blog ripostano detti articoli quindi il numero di lettori non è così piccolo.
Ciao Fulvio, ad maiora!!!

Fulvio Grimaldi ha detto...

Roberto@ Grazie! Cresciamo e moltiplichiamoci!

Anonimo ha detto...

Essere nella storia, una foto e un pezzo di cronaca, ognuno con le proprie armi, ma soprattutto con la consapevolezza di quanto stesse accadendo, e preservare per divulgare l'informazione prima che ogni cosa venga distorta e rimanga solo il sangue. E poi la rabbia, tanta rabbia, per ciò che poteva essere e non è stato, annacquato dal tempo e dalle ragioni altre. Ma a te, Fulvio, un grazie per avervi creduto sempre negli anni, in una parità difficile da conseguire, ma per cui valga vivere e lottare. Sursum corda!
Enrico

Anonimo ha detto...

Sei un uomo da rispettare
Leonardo